Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999.
In questo contesto, anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha promosso diverse iniziative, sensibilizzando il proprio personale e la società civile sul tema attraverso momenti di riflessione, condivisione e solidarietà. In particolare, scienziate, scienziati e tutto il personale dell'Osservatorio Astronomico di Padova si sono riuniti nel giardino dell'Osservatorio, dove è stata posata una panchina rossa — simbolo di denuncia contro la violenza sulle donne — e sono state lette alcune riflessioni sul tema.
Perche’ dipingere una panchina di rosso? A cosa serve essere qui?
La risposta e’ semplice, ed e’ su vari livelli. A livello personale, questo serve ad aiutarci reciprocamente a riflettere sul tema della violenza contro le donne. Se almeno alcune delle persone che sono qui utilizzeranno i prossimi 20 minuti per riflettere su come possono aiutare a prevenire o alleviare, concretamente, questo dramma anche solo per una donna, dal mio punto di vista questo e’ gia’ tempo ben speso. La violenza contro le donne e’ purtroppo un dramma estremamente diffuso. Chi e’ donna lo sa. A chi e’ uomo chiedo di focalizzare il suo pensiero su una donna che conosce, una figlia, una sorella, un’amica, madre, moglie…e immaginare che la probabilita’ che subisca durante la sua vita almeno una qualche forma di violenza di genere e’ altissima. Il femminicidio e’ la punta di un iceberg, una piaga sociale sistemica che comprende le violenze fisiche, sessuali, verbali, psicologiche, economiche, gli abusi, le molestie, i comportamenti indesiderati, le discriminazioni, le umiliazioni, gli odiosi stereotipi, le profonde ingiustizie, il tutto sostenuto da una mentalita’, una “cultura” (tra virgolette) che e’ ben lungi dal morire. Contribuire a modificare questa “cultura” e’ responsabilita’ di tutti e tutte. Dal libro “Stai zitta” di Michela Murgia (pag. 72-73): “Dobbiamo riconoscere la differenza tra il concetto di colpa e quello di responsabilita’. La colpa e’ un carico morale esclusivamente personale e, a meno che tu non abbia praticato deliberatamente un’ingiustizia o una violenza su qualcuna, ovviamente non e’ tua. La responsabilita’ invece e’ un carico etico collettivo che ci riguarda tutti e tutte, perche’ le regole che seguiamo ogni giorno reggono la disuguaglianza che viviamo. La colpa ce l’hai o non ce l’hai. La responsabilita’ invece te la assumi se pensi che quelle conseguenze ti riguardino e tu possa fare qualcosa per modificarle in meglio.” Nessuno deve essere colpevolizzato (se non e’ colpevole), ma tutti si devono sentire responsabilizzati. La strada e’ ancora molto lunga. Modificare la “cultura” passa dall’educazione. Innanzitutto, di noi stessi e di noi stesse. Poi, ognuno e ognuna di noi e’ un educatore, un’educatrice, in ambiti anche diversi, quindi tutti e tutte possiamo fare qualcosa. Qualcuno di noi ha figli. Abbiamo studenti, dottorandi, postdoc, giovani (o meno giovani) colleghe e colleghi con cui interagiamo. Stiamo educando le nuove generazioni al rispetto, all’empatia, alla sacralita’ della vita e di ogni essere umano? Stiamo educando i nostri giovani a questo? Io come mamma di un ragazzo di 18 anni me lo chiedo. Stiamo educando le nuove generazioni alla liberta’, quella vera, che non e’ solo poter fare quello che voglio sulla carta, ipoteticamente, ma e’ anche potermi sentire capace di decidere di me stessa, a 360 gradi, e questo richiede la rimozione di tutti gli impedimenti psicologici che assorbiamo dalla societa’, soprattutto noi donne? Le nostre figlie, le nostre giovani, avvertono questo potenziale di liberta’? Ma c’e’ anche un altro livello nel nostro essere qui: a livello istituzionale, come Osservatorio Astronomico di Padova (OAPd) dell’INAF - Istituto Nazionale di Astrofisica, siamo qui per ribadire la volonta’ del nostro istituto di applicare la tolleranza zero verso qualsiasi forma di violenza, al di qua di questo cancello. Mancanze di rispetto, gesti o parole indesiderati sono forme di violenza che non saranno tollerati. Dovrebbe essere scontato? Certo, dovrebbe esserlo. Ma e’ bene dirle queste parole, dobbiamo continuare a ripeterle ad alta voce perche’ la realta’ e’ molto diversa da come dovrebbe essere.
Dobbiamo prenderci l’impegno, come Osservatorio, non solo di rifiutare la violenza ma di creare un ambiente in cui ogni donna, come ogni uomo, sempre di piu’ possa sentirsi al sicuro, valorizzata, messa nella condizione psicologica e materiale di esprimere al meglio tutte le sue potenzialita’ e di vedere riconosciuti il suo contributo e il suo valore. Quello che succedera’ adesso: leggeremo dei brani che ci aiutano a riflettere. Accogliamoli come uno stimolo, anche una provocazione magari…provengono da sensibilita’ diverse e ringrazio tantissimo chi volontariamente ha contribuito alla scelta dei brani e oggi li leggera’. Poi scopriremo la panchina dipinta di rosso, che rimarra’ qui per sempre. Ringrazio di cuore Nicola che ha promosso e realizzato questa iniziativa. Successivamente scopriremo un dipinto preparato per l’occasione da Silvia, che ce ne leggera’ il significato e che ringrazio di cuore. Anche questo rimarra’ con noi sempre, verra’ appeso in Osservatorio. Per concludere, con chi vuole faremo una foto. Che non serve per i social. E’ anche questo un gesto simbolico, che sta a significare: ci metto la faccia (quindi, ci metto me stessa/me stesso). E’ come dire: io questa responsabilita’ di contribuire a cambiare la mentalita’ che genera la violenza contro le donne me la voglio prendere. Quindi scegliere di far parte della foto significa prendersi un impegno.
Bianca Poggianti - Direttrice dell'Osservatorio Astronomico di Padova
Ultimi 20 casi di femminicidio in Italia, a meta’ novembre 2024, presi dall’ Osservatorio nazionale femminicidi, lesbicidi, trans*cidi - Non una di meno 98 donne sono state uccise dall’inizio dell’anno. 84 di questi omicidi sono stati commessi in ambito familiare/affettivo.
Dal report settimanale al 17 novembre del Ministero dell’interno
Monologo della scrittrice Anna Steri
Mi chiamo Alice, ho 27 anni, e domani mi sposo. Mi trema il cuore dalla felicità. Sento le farfalle nello stomaco, di tutto il mondo, tutte dentro. Sposo Luigi, l’amore della mia vita, l’amore che arriva e ti ci butti dentro. Ed è bellissimo.
Mi chiamo Alice, ho 30 anni, e sono incinta. Ho la nausea alla mattina, appena mi metto seduta sul letto dopo aver aperto gli occhi. E la sera mi viene una fame, una fame di cose introvabili nel frigo, così Luigi deve farsi un paio di supermercati prima di accontentare il piccolo che mi vive in pancia e che reclama cibo. Luigi dice che sono bellissima, io mica gli credo, sono ingrassata di dieci chili, ma mi faccio coccolare lo stesso.
Mi chiamo Alice, ho 31 anni, e da qualche mese stringo fra le braccia Francesco. È buono Francesco. E sa di latte dappertutto, sui capelli, manine, piedini. Lo guardo con meraviglia. Ma, per davvero, l’ho fatto io? Mi commuovo per ogni cosa. Luigi, no. Luigi alza la voce. Ieri gli è scappata una mano sulla mia faccia. L’ho perdonato subito. È stanco. Questa paternità lo trova impreparato.
Mi chiamo Alice, ho 32 anni, e, oggi, guardandomi allo specchio ho notato un livido sul braccio destro, uno su uno zigomo, e uno vicino al labbro. Ora mi trucco per bene e sparisce tutto.
Mi chiamo Alice, ho 33 anni, e, stasera, sono finita al pronto soccorso. Tre costole rotte. Luigi mi ha mandato un calcio su un fianco. Ma non è colpa sua. Lui è così stanco. “Mi sono distratta, e sono caduta in cucina, mentre portavo il piatto in tavola. Mio marito ha provato ad aiutarmi, invece mi è caduto addosso.”, così ho detto in ospedale. “Sicura, Signora?”. “Sicura.”, ho risposto piano, col dolore che mi tagliava il respiro.
Mi chiamo Alice, ho 35 anni, e, stamattina, Luigi mi ha ficcato un coltello in gola. Ho sentito la lama penetrare nella carne. Per qualche secondo ho trattenuto il fiato, e ho pensato “ma sta capitando a me? per davvero sta capitando a me?”. Sono morta dopo qualche ora. Senza più sangue.
Mi chiamo Alice, e, ora, sono nuvola, e pioggia, e terra, e mare. E respiro di madre su tutti gli orfani di questo mondo.
Letto da Elena Martellato
Dal discorso al Quirinale di Silvia Avallone, in occasione della Giornata internazionale della donna (Marzo 2021)
Ho conosciuto tante donne, murate vive, le cui esistenze sono scivolate via in silenzio e ne ho conosciute molte altre che si sono ribellate ricevendo in cambio disprezzo e diffidenza.
Ognuna di noi e’ o e’ stata prigioniera di una parola con le sbarre, di uno stereotipo feroce, di un invito a tacere, a farsi fa parte, a scaricare e sacrificare il proprio talento.
Se chiedi a una persona di rinunciare alla propria voce, la stai spogliando di se stessa. È questo che accade ovunque, di continuo, ogni volta che si domanda a una donna di vestire in un certo modo, di rinunciare lei al lavoro, di occuparsi da sola dei figli, di dismettere una passione. È così che ho visto impallidire e assottigliarsi decine di donne. È così che le ho viste finire nel sangue quando hanno deciso di dichiarare la propria indipendenza. è così che ho visto sfiorire, regredire, la società intera.
A qualunque età, latitudine, condizione sociale, i nostri corpi arrivano prima delle nostre voci, il nostro aspetto giudicato prima che le nostre parole possano trovare ascolto. Le donne vengono malpagate, discriminate, sfruttate, violentate e uccise perché viene loro negato, alla radice, il diritto all’identità, a essere una persona, sostantivo femminile che abbatte le mura di qualsiasi definizione e spalanca le possibilità di espressione, la libertà di osare il proprio sogno.
Quando un giorno mia figlia ha dichiarato di voler diventare una principessa le ho suggerito che la strega sarebbe stata un’alternativa ben più eccitante.
«Ma sono cattive» , ha risposto.
«È quello che vogliono farti credere», le ho spiegato, «le streghe sono potenti, sanno volare e trasformarsi, a differenza delle principesse non invecchiano dentro una torre.»
«Ma sono brutte», ha replicato.
E io mi sono ritrovata di fronte a questo macigno che ci passiamo di generazione in generazione, a questo imperativo di perfezione astratta e accessoria.
«Noi non siamo fiori», le ho risposto, «né gioielli. Non siamo cose. Non dobbiamo essere misurate, esibite, usate, gettate, quando appassiamo o ci scheggiamo e sai perché?».
«Perché noi parliamo, immaginiamo, studiamo, creiamo, siamo vive e non apparteniamo a nessuno.»
Letto da Alessia Moretti
Violence Against Women - A Poem [Writer wishes to remain anonymous]
She walked home – God forbid.
Did everything she was told from a kid
Be ready to run, fake a phone call, only walk down streets that are well lit.
She wanted to walk that night,
Feel the wind in her hair, feel the ground beneath her feet. She didn’t want to call a cab, and that’s allowed, that’s alright. Before you say that was stupid, miscalculated, or silly,
Just think for a moment – why not? Why can’t she? Three words: lack of equality.
Scared to move, scared to breathe, scared to run -
Begs the question, if this was happening to men, would something be done? Would something change?
No you say. And why's that?
Because this would never happen in the first place.
To be free, to not fear, to be safe no women has ever felt.
This is no exception to the rule, this is not simply a bad hand dealt. This is systemic, embedded in our lives.
This - is a public health epidemic.
This is violence against women, In its most pure and cruel form.
This was the past, and this is still the present – Another woman whose life we mourn.
Every corner could be a trap, every road a dead end. A battle zone, a minefield
And all we want to do is go safely home.
This story is loud, it is painful, and it ties into the bigger picture, Where we live in fear, on alert for any danger.
Danger I say, but what form do you take? The answer is easy – the form of a man, Danger is he.
The abuse of power as husbands and sons inflict pain on mothers and daughters. We will fight for the day that women can walk safely on our streets,
At any hour of any day – so we get to be alive even as the whole world sleeps.
The day will one day come when we can walk safely home – untouched and unmoved, Dare we say we might even walk alone?
Violenza contro le donne - Una poesia [L'autore desidera rimanere anonimo]
Tornava a casa a piedi – che Dio non voglia.
Ha fatto tutto ciò che le hanno insegnato da bambina
Essere pronta a correre, fingere una telefonata, camminare solo in strade ben illuminate.
Quella notte voleva camminare,
Sentire il vento tra i capelli, sentire la terra sotto i piedi.
Non voleva chiamare un taxi, e questo è permesso, è giusto. Prima di dire che è stato stupido, calcolato male o sciocco, Pensa per un momento – perché no? Perché non può?
Tre parole: mancanza di uguaglianza.
Troppo spaventata per muoversi, respirare, correre -
Viene da chiedersi, se accadesse agli uomini, si farebbe qualcosa? Qualcosa cambierebbe?
No, dici.
E perché?
Perché questo non accadrebbe mai, in primo luogo.
Essere libere, non avere paura, essere al sicuro – nessuna donna lo ha mai provato. Non è un’eccezione alla regola, non è solo una sfortuna.
È sistemico, radicato nelle nostre vite. Questo – è un’epidemia di salute pubblica.
Questa è violenza contro le donne, Nella sua forma più pura e crudele.
Questo era il passato, ed è ancora il presente – Un’altra donna la cui vita piangiamo.
Ogni angolo potrebbe essere una trappola, ogni strada un vicolo cieco. Una zona di guerra, un campo minato
E tutto ciò che vogliamo è tornare a casa sane e salve.
Questa storia è forte, è dolorosa, e si collega a un quadro più grande, Dove viviamo nella paura, all’erta per ogni pericolo.
Pericolo, dico, ma che forma prendi?
La risposta è semplice – la forma di un uomo, Il pericolo è lui.
L’abuso di potere, mentre mariti e figli infliggono dolore a madri e figlie.
Combatteremo per il giorno in cui le donne potranno camminare in sicurezza per le nostre strade,
A ogni ora di ogni giorno – così che possiamo essere vive mentre il mondo intero dorme. Un giorno verrà in cui potremo tornare a casa in sicurezza – intoccate e serene,
Osiamo dire che potremmo persino camminare da sole? Letto da Elena Dalla Bonta’
Letto da Elena Dalla Bontà
Estratto discorso di Gino Cecchettin al funerale della figlia Giulia
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro che avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita.
Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia?
Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione…
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
Letto da Andrea Busato
Dal TED talk “Violence against women: it’s a men's issue” di Jackson Katz
We talk about how many women were raped last year, not about how many men raped women.
We talk about how many girls in a school district were harassed last year, not about how many boys harassed girls.
We talk about how many teenaged girls got pregnant in the state of Vermont last year, rather than how many men and teenaged boys got girls pregnant.
So you can see how the use of this passive voice has a political effect. It shifts the focus off men and boys and onto girls and women. Even the term violence against women is problematic. It’s a passive construction. There’s no active agent in the sentence. It’s a bad thing that happens to women. It’s a bad thing that happens to women, but when you look at that term violence against women, nobody is doing it to them. It just happens. Men aren’t even a part of it!
Noi parliamo di quante donne siano state violentate nell’ultimo anno, e non di quanti uomini violentino le donne.
Parliamo di quante ragazze siano state molestate in ambito scolastico nell’ultimo anno, ma non di quanti ragazzi le abbiano molestate.
Parliamo di quante ragazze siano rimaste incinte nell’ultimo anno nello stato del Vermont, piuttosto che di quanti uomini o ragazzi le abbiano messe in questa situazione.
Potete quindi vedere come l’uso di questa voce passiva abbia un effetto politico. Il focus dell’azione passa da uomini e ragazzi a donne e ragazze. Il termine stesso violenza contro le donne e’ problematico. E’ una costruzione passiva. Non c’e’ alcun soggetto attivo in questa frase. Si tratta di una cosa brutta che capita alle donne. Si tratta di una cosa brutta che capita alle donne, ma quando si va a guardare al termine violenza contro le donne nessuno ne e’ responsabile. Semplicemente capita. Gli uomini non vi prendono parte.
Letto da Emmet Golden Marx
Io canto le donne di Alda Merini
Io canto le donne prevaricate dai bruti la loro sana bellezza, la loro “non follia”
Il canto di Giulia io canto, riversa su un letto la cantilena dei salmi, delle anime “mangiate” il canto di Giulia aperto portava anime pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio.
Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli il livido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia. Canto la stalla ignuda entro cui è nato il “delitto” la sfera di cristallo per una bocca “magata”.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo canto le sue gambe esigue divaricate sul letto simile ad un corpo d’uomo era il suo corpo salino ma gravido d’amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra, canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane. Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua e un faro di marina che non conduceva al porto. Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.
Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra
canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche
canto la soluzione del tutto traverso un’unica strada io canto il miserere di una straziante avventura dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d’esser fuggita al dolore per la menzogna di vita
per via della poesia.
Letto da Pamela Cambianica
Se domani non torno Cristina Torre Cáceres
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley). Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina). Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucía).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l'alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai. Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti. Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me. Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io. Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima.
Letto da Silvia Bertoli
CRISALIDE
Mi libero,
donna tra le donne,
donna in mezzo alle donne, donna in mezzo agli uomini,
donna vittima di una società e del suo pensiero.
Mi libero,
libero te donna e tutte le donne:
da un'educazione che mi vuole remissiva e servizievole;
dal dover essere carina, accogliente per poi essere fraintesa e offesa
nei modi e nelle parole; dagli stereotipi di bellezza che mi imprigionano
e sottopongono a giudizio;
dal dover sempre tacere e ascoltare
per non essere altrimenti giudicata una disturbatrice; dal dover assecondare il pensiero altrui,
in famiglia, nella coppia, nel lavoro, nella scienza e nell'arte;
dal dover essere biologicamente madre per non essere considerata inutile;
dal dover sopportare i segreti di chi dice di amarti
e così ti uccide nel cuore;
da ogni forma di violenza fisica o verbale che oltraggia il corpo e la mente.
Ti libero... Mi libero donna perché la libertà
é essere chi sei, come sei sempre
senza temere di perdere la vita o l'anima.
Ti libero... Mi libero donna
da questa soffocante crisalide, per rinascere farfalla
dai più belli e unici colori.
Scritto e letto da Silvia Mesin in accompagnamento al suo dipinto (Acrilico su Tela – 80x60)
Disegno di Giorgio Mantoan in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne